
E no. Basta. No. Non era il Re dei Vini. Non era il produttore dei vini di lusso. Non era il rampollo della dinastia sarda. Non era quello dei vini di eccellenza. Non stava male se lei voleva lasciarlo. Se lei voleva abbandonarlo. Se lei non voleva star con lui. Se lei non ci stava. Basta con questo narcisismo.
Chi se ne frega. Chi se ne frega se una bottiglia da lui costava milleottocento euro, chi se ne frega se era quello del “bianco più costoso d’Italia”, chi se ne frega se era il punto di riferimento nel panorama vinicolo della Gallura. Ma chi se ne frega se produceva vini e li vendeva oltreoceano, chi se ne frega quanto fatturato faceva, chi se ne frega.
Emanuele Ragnedda non era il re dei vini. Quello. Quello del re di qualcosa, lo si epiteta ai morti quando si sono contraddistinti per qualcosa. Non agli assassini. Non agli omicidi. Emanuele Ragnedda non era il re dei vini, il rampollo da 1800 euro e una notte, era un poveraccio che ha ammazzato una donna di 33 anni, Cinzia Pinna, e l’ha seppellita in un casolare come fosse un rifiuto di cui manco pagare le tasse.
Poi è partito a bordo del suo elicottero per andare a folleggiare in giro. Dodici giorni di ricerche che hanno visto coinvolti amici parenti, dodici giorni di assoluta disperazione, per cercare quella giovane donna morta ammazzata per mano del “suo” uomo. Non era il suo uomo. Non è mia moglie. Non è mio marito. Non è il mio compagno. Non è la mia compagna. Una persona non è di nessuno, anche se continuate a scrivere mio tuo so nostro vostro loro. Usate gli aggettivi possessivi senza rendervi conto delle implicazioni che comportano.
Ma la stampa, quella che si indigna per le notizie spettacolo, quella che fa la guerra ai sensazionalismi, cosa fa? Anziché raccontare chi era lei. Fa la radiografia a lui. Alla sua azienda, alla sua vita. Ai suoi soldi. Mette le sue foto di lui che assapora i vini. Ma vaffanculo.
Questo dovrebbe farci riflettere su molte cose e infatti spero che l’intento sia stato quello.
Basta andare in giro e berciare e gridare che la maggior parte delle violenze sono commesse da stranieri, quando gli aguzzini e gli assassini ce li abbiamo in casa. Basta montare gli articoli con la panna se lo stupratore è ghanese mettendolo ben evidenziato nel titolo.
Oggi scopriamo che l’assassino è un produttore di vini di lusso. Oibò. Ci siamo resi conto che possono uccidere anche loro. I ricchi. I facoltosi. Quelli che hanno tutto e se ne fregano delle vite degli altri, quelli che tanto con il denaro comprano tutto. Anche le loro madri. Ci siamo resi conto che possono uccidere anche gli italiani. Tanto sono tutti dei bravi ragazzi ti diranno. “Provengono da una famiglia normale”. “Davvero non so come sia potuto succedere”, ti dicono.
E con i migliori avvocati alla fine passerà la narrazione che è stata colpa della vittima. Perché tanto è sempre colpa sua. Cinzia Pinna sarà ricordata come la centesima donna ammazzata. Lui invece era l’uomo in carriera, con le foto professionali.
Ogni qual volta viene ammazzata una donna c’è sempre qualcosa che debba in qualche modo elogiare o giustificare il carnefice. E lui aveva problemi di soldi, e lui è cresciuto in una famiglia per bene, e lui aveva su di sé troppe responsabilità, e lui non ha retto alla separazione. E lui sognava un futuro con lei. E basta. Ce ne freghiamo se lui non ha retto alla separazione, se lui non voleva essere lasciato, se lui le regalava i biscotti, se lui la amava, se lui era geloso, se lui era un bravo ragazzo tranquillo. Chi se ne frega. Chi se ne fotte. Ragnedda sarà anche stato colui del “bianco più caro d’Italia”, ma rimane un poveraccio.
sbetti
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