Ci avevano provato. Ci avevano provato e ci erano perfino riusciti a insufflarmi quel pensiero che il 25 aprile non si festeggia tanto la Liberazione. Ma San Marco. Sì la Liberazione ok, ma insomma suvvia, per quella bastano due parole. Poi ci avevano anche aggiunto questa tradizione regional populista, anti progressista, che fa sì che il 25 aprile a Venezia si festeggi il Leone. E tradizione vuole che per l’occasione l’uomo regali un bocciolo alla donna, la propria amata. Una cosa che ho sempre respinto, dal momento che non vedo, uno, perché si debba cogliere un fiore, e due, far sì che la donna – ancora per l’ennesima volta in posizione subordinata – attenda il bocciolo dall’uomo. Una tradizione che assolutamente non mi rispecchia.
Quando andavo a scuola ricordo che i giorni che antecedevano il 25 aprile, era tutto un tripudio di festa, ma non per la Liberazione. Quella veniva sminuita. A volte banalizzata. Che si festeggiasse la Liberazione l’ho appreso da mia madre e da mio padre che mi raccontarono la storia. Ci fu solo un insegnante che una volta ci fece cantare “Bella Ciao” a scuola, ma mi sentivo un po’ come quella bambina “la maestra ci faceva cantare ma io non capivo le parole”. Basta da lì più nulla. La maggior parte dei miei compagni di classe credeva che il 25 aprile si festeggiasse San Marco, che le scuole venivano chiuse perché in ogni paese c’era una festa dello sport, una sagra di primavera, una baraccata. Ma non c’era mai nessun genitore che ti spiegava che a scuola non si andava perché era la Liberazione. Che bella parola. Che spettacolo sentirla pronunciare. Che spettacolo sentirselo dire. Che goduria ascoltarla mentre si libra nell’aria. Liberazione a cui succede la parola Libertà, un vocabolo di una potenza assoluta, di una densità magnifica. Un gusto così talmente irresistibile che quando non ce l’hai a tratti ti manca l’aria. Poi un giorno, da grande, mi ritrovai dentro a delle chat di gruppo di una certa fazione politica, e il 25 aprile di ogni anno, vedevo solo boccoli di rosa e leoni di San Marco comparire.
Quando chiesi: “Scusate ma oggi non è la Liberazione?”, nessuno mi rispose. Nessun dialogo. Nessun confronto. Qualcuno provò anche a zittirmi dicendo che non era il gruppo adatto. E che se volevo far polemica potevo farla da un’altra parte.
Solo uno mi disse che io non capivo la storia. E che lui alla mia età aveva già famiglia. Che non ho mai capito cosa c’entrasse. Ora lo so.
Avevo come l’impressione che per loro il 25 aprile fosse come un giorno a letto con l’influenza. Un qualcosa di simile a un virus da cui rifuggire subito. Non ho mai capito perché c’era quel tentativo di rifuggire da quei militari, giovani renitenti alla leva, studenti, operai, contadini, sacerdoti e intellettuali, tutti uniti dalla volontà di combattere l’occupazione nazista e i fascisti. Non l’ho mai capito. Ricordo anche che una volta mia madre mi raccontò un aneddoto accaduto nella sua scuola dove insegnava. Era qualche anno fa. Una sua collega aveva dato da studiare per casa il canto “Bella Ciao” e a scuola il giorno dopo si presentò un padre dicendo che lui quella canzone al figlio non gliela faceva imparare. Rimasi sconcertata. Ma poco dopo iniziai a unire i puntini e complice le mie vicissitudini, capii che c’è una forza subdola, un movimento che spinge a forza per rinnegare tutti i diritti costituzionali, i principi liberali, gli scioperi e i dissensi. Ci provano loro a insufflarti il pensiero, a inzuppartelo come si inzuppa il savoiardo nella crema, rendendotelo appetitoso, gustoso, a tratti pericoloso. Qualcuno prova anche a farti tacere, a metterti paura.
Un lento ma vorace avanzamento di coloro che ci vorrebbero muti, che ancora oggi, perfino con la morte del Papa, giocando le sue carte con la più totale spudoratezza, usano questa dipartita per imporre sobrietà, per un Papa che sobrio non lo è nemmeno mai stato. Ho capito che questa non è la libertà. E che i diritti non sono così scontati. Devi difenderli ogni giorno. Buona Liberazione.
Antifascista sempre.

sbetti


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