
È un caso complicatissimo da narrare quello di Sharon. Complicatissimo. Perché ovunque tu lo prenda sbagli. L’altro giorno sono stata redarguita perché in un post ho scritto che un uomo ha ammazzato una donna. Tra un po’ non potremo più scrivere niente. Perché comunque le mescoli le parole, ovunque ti giri e ti rigiri, fai un torto alle ideologie di qualcuno. Dateci un decalogo da usare, di modo che possiamo accontentare tutti. Anche se io sinceramente me ne fotto di accontentare qualcuno. Se dici uomo non va bene. Se dici donna nemmeno. Se dici che era originario del Mali, manco. Se dici che era cittadino italiano ti rimbecca quello che ti dice che “italiano non era”. Se dici che aveva origini africane ti rimbecca quell’altro che ti dice “cosa c’entra – anche gli italiani ammazzano le donne”. Il politicamente corretto ahimè, come prevedevo, sta facendo scuola. Da una parte e dall’altra. Al punto tale che perfino la ovvietà viene sindacata.
Ma è un caso delicatissimo quello di Sharon. Delicatissimo. Lei non era nel posto sbagliato. Cosa c’era di sbagliato nell’andare a fare un giro di sera da sola, dentro al suo quartiere? E lei non è stata ammazzata senza senso, perché togliere la vita a qualcuno non ha mai un senso. Qui siamo davanti a un caso in cui un uomo ha ucciso una donna. Pardon. Se preferite diciamo che un essere di sesso maschile ha ucciso un essere di sesso femminile. Che poi non si sa cosa cambi. Ma la gente che commenta nei social e balla sui cadaveri ancora caldi, offrono uno spettacolo alquanto indegno. Così come quelli che giocano a palla tra due fuochi, facendo la conta per vedere se siano di più le donne ammazzate da stranieri o da italiani. Dio mio che siamo diventati. Sharon Verzeni è stata ammazzata la notte tra il 29 e il 30 luglio scorsi, a Terno D’Isola, un paesino di settemila anime, in provincia di Bergamo, mentre andava o sarebbe voluta andare tranquillamente di notte a fare un giro. Ci hanno provato a far passare il fidanzato per l’ennesimo femminicida per dimostrare e sostenere la società del patriarcato – che esiste eccome se esiste – ma stavolta non ci sono riusciti. Non hanno trovato un altro trofeo da ergere a sostegno delle proprie tesi.
Sharon è stata ammazzata dalla incuria, dal degrado, dalla insicurezza che sta correndo silenziosamente nei nostri paesi. Anche i paesi più piccoli stanno diventano luoghi di scadimento, dove si annidano bande di sbandati, tossici, picchiatori, spacciatori. La gente ha paura a uscire perfino di casa. E non mi importa la nazionalità dell’ aggressore. Non mi importa. Mi importa invece che in ogni campagna elettorale c’è sempre il solito “facciamo rivivere i nostri paesi”, “i nostri centri storici”, “illumineremo tutto”, ti dicono per prendere voti. “Sicurezza” sarà la priorità. Si è visto, si vede. Si vede come tenete le strade dei comuni al buio già alle dieci di sera. Hanno detto poi che Sharon è stata ammazzata senza senso. Senza una ragione, così a caso. Senza un motivo, e l’ho scritto pure io. Poi quando stavo scrivendo, mi sono chiesta: ma perché per ammazzare qualcuno serve un motivo? C’è una ragione? Un omicidio è meno grave se ha un movente? Forse dovremmo smetterla. Continuando a ribadire questa cosa stiamo sdoganando l’idea – inanellando un po’ alla volta, infilando un anello dietro l’altro come il giocoliere di strada infila i suoi cerchi – che per ammazzare qualcuno ci possa anche essere un motivo. E questa cosa, vista la società attuale, mi fa paura.
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