Prima l’ha strangolata con una cintura e poi ha simulato il suicidio. Solo che lei lo aveva registrato. E a marzo scorso lui è stato arrestato. Peccato che la stampa – sempre più libera (sono ironica) e ottemperante al proprio dovere e diritto di cronaca – lo sia venuto a sapere sei mesi dopo, perché grazie alla legge Cartabia non è possibile divulgare informazioni sui procedimenti a meno che non ci siano “ragioni di rilevante interesse pubblico”. Ma evidentemente un femminicidio non è interessante pubblicamente. E questo lo stabilisce il pm. Come deturpare il ruolo del giornalista. Come snaturarlo. Come ridurlo a mero esecutore, scribacchino di insulsi comunicati pieni di niente.
Come svuotare il senso di un mestiere fatto di suole di scarpe, di attese dinanzi alle aule di giustizia, di rapporti confidenziali, di contatti. Come mettere il bavaglio ai giornalisti già imbavagliati. Sono pochi quelli liberi.
Ma riavvolgiamo un attimo il nastro.
È il 2 agosto 2023. Un anno fa. E Nicoleta Rotaru viene trovata morta nella sua abitazione ad Abano Terme, in provincia di Padova.
Quando i carabinieri arrivano, la trovano vicino alla doccia, rannicchiata a terra. E da lì, tutti gli accertamenti portano a credere che si tratti di suicidio. Del resto era stato proprio il marito, Erik Zorzi, a chiamare il 118. “Venite mia moglie si è chiusa in bagno, credo si sia uccisa”.
Solo che. Solo che dopo qualche mese spunta un audio. Nicoleta aveva registrato tutto. Sono le 4.24 di quel 2 agosto 2023. “Erik ti prego smettila!”, si sente dall’audio registrato col telefono. Lui le è seduto sopra a cavalcioni e secondo l’accusa, le sta stringendo una delle sue cinture al collo. L’omicidio dura nove minuti.
A marzo il marito viene arrestato perché indagato per aver ucciso la moglie. Ma la notizia del fatto stesso, cosa grave, gravissima – se non per il fatto che hanno fatto passare come suicida una che suicida non era – trapela solo l’altro giorno. Sei mesi dopo.
I pm, infatti, di questi tempi, si trincerano dietro alla riforma Cartabia. E ultimamente è sempre più difficile parlare con pm, procuratori, avvocati, investigatori. Ti chiamano solo per le conferenze stampa dove ti dicono che i fiori si innaffiano con l’acqua.
Si barricano tutti dietro alla privacy, alle leggi, alle ordinanze, che poi alla fine basta un buontempone qualsiasi che riporti una cosa, la cosa finisce nel tritavermi del web, e da lì è sagra. Così anziché fornire indizi alla stampa, meglio applicare il principio “un bel tacer non fu mai scritto”.
Ma lui diamine l’ha ammazzata. L’ha fatta fuori perché era geloso, perché non voleva si laureasse, non voleva lavorasse. Tale codesta aberrante notizia non può non essere di interesse pubblico. O il procuratore crede ancora che i panni sporchi si lavino in casa?

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