Qualche giorno fa, lungo l’autostrada, mi sono fermata in un autogrill all’altezza di Forlì Cesena e con mio grande stupore ho visto che è tornato di moda il pranzo a sacco tra le famiglie. Alla faccia dell’aumento dei redditi. Era da anni che non vedevo scene di famiglie intere usare i bauli delle auto come sedili e i marciapiedi come tavoli da picnic, con quaranta gradi all’ombra. In pieno agosto. Era più o meno l’una del pomeriggio e l’asfalto ributtava quelle vampate di calore vomitoso e quel bollore da far mancare l’aria. Avete presente quando qualche buontempone brucia la plastica e questa si diffonde nell’aria. Ecco l’odore che ti entra in gola è pressappoco simile.
Il parcheggio dell’autogrill era una canicola di arsura e calura. Un sudario di lavoratori e vacanzieri in fuga, per scappare dai ritmi convulsi del lavoro dicono. Ma poi, scappare da cosa. Il bollore lo vedevi negli occhi dei bambini in eccitazione, con le guance in ebollizione per il tremendo calore. Lo vedevi nei volti delle mamme – non me ne vogliano i negazionisti del patriarcato – che preparavano i panini anche per i padri. Lo vedevi nei petti nudi della gente che cercava un po’ di riparo all’ombra di due sbarre di ferro che tengono su una tettoia per proteggere le auto dal sole.
Padri. Madri. Nonni. Bambini. Sopra i pianali dei bauli rialzati delle auto, con i cestini dei rifiuti come commensali. Accovacciati sopra i marciapiedi in mezzo agli scarichi dei camion. Appollaiati e acquartierati nei piazzali dei punti ristoro. Così mi sono fermata a parlare con queste persone e mi hanno detto che mangiare al ristorante, soprattutto in autogrill costa decisamente troppo. In effetti. La sottoscritta, per due tranci di pizza larghi e lunghi come il palmo di una mano, un’acqua naturale calda in bottiglia – i frigoriferi degli autogrill manco sfreddano – una birra piccola e due caffè, ha speso la bellezza di 25 euro e 50.
Ho visto gente far la coda addirittura per comprare roba dentro al banco frigo e poi fuori prendere coltelli e forchette e mettersi a spalmare formaggio in mezzo alle auto in transito. Impastoiati e sudati per questa calura, la gente mangiava appollaiata per terra o sopra i bauli portati a ebollizione sotto il sole. “Bambini ho fatto i panini venite qui”, diceva una mamma ai propri figli. La donna, mi ha detto, stava scendendo da Varese con la famiglia. Solo che pranzare fuori costa troppo. Un panino te lo fanno pagare nove euro. Se ti siedi un primo costa oltre 10 euro. Una famiglia di 4 persone, fate voi il conto. Così ha preso, si è fermata in un supermercato prima di entrare in autostrada. Qui ha comprato il pane confezionato, che pareva il volto di un vecchio chiuso col naso schiacciato dentro un sacchetto, specchio del sudario dei lavoratori, tre involucri di affettato, dove su uno c’era scritto: “Offerta speciale”, poi scopri che è confezionato da una settimana e che il tacchino da crudo ha fatto in tempo a diventare a cotto e crudo di nuovo, formaggio spalmabile, quattro cinque cipolline con le carotine che stavano in piedi da sole, e ha preparato, sopra i tavolini del piazzale, i panini per tutti i suoi familiari. Le borse frigo contenevano bibite fresche. E qualcuno aveva anche la borraccia termica per il caffè “che tanto va bene anche freddo o tiepido, col caldo che c’è”. Quando sono arrivata alle casse, davanti a me c’era una mamma con la sua bimba. Il cassiere voleva farle acquistare un gelato confezionato in offerta mega galattica stratosferica per la modica cifra, nientepopodimeno che, di 2 euro e 50. Ma la donna gentilmente ha declinato l’invito. “Mamma uffa il gelato!”, ha piagnucolato la figlia. “Amore lo prendiamo al mare. Che costa meno”. Ci ho fatto un pezzo sulla Ragione.
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