Gino Cecchettin

Perdonali Gino.
I commenti denigranti e denigratori su Gino Cecchettin, il padre di Giulia trucidata in quel modo da quello che avete descritto “un bravo ragazzo” “le faceva i biscotti”, mi hanno fatto venire i conati di vomito.
Del resto c’era da aspettarselo in questo Paese di rosiconi, che odia tutti, perfino il vicino che ha l’erba più bella.
E in quel Paese che ora venderebbe la madre pur di avere un millesimo della visibilità che hai tu Gino, non capendo che, tu Gino, di questa visibilità avresti fatto volentieri a meno. Che avresti preferito non averli i giornalisti davanti casa a tutte le ore del giorno e della notte per un mese, ricordandoti ogni secondo che tua figlia è stata ammazzata.
Volevi startene lì tranquillo in quella casa di campagna, in quel paesello tranquillo di quel fazzoletto di terra che è il Veneto. Fare le tue cose, lavorare, curare il tuo giardino, dar da mangiare al cane. E invece il destino si è messo di traverso. E tu ne hai tratto insegnamento, dando una forma e un volto al tuo dolore e scrivendone un libro.
Ma questo agli odiatori sociali non va bene.
Ho letto di quelle cose così talmente orrende e mostruose che davvero mi chiedo se dietro le tastiere ci siano degli uomini o degli animali.
Perdonali Gino.
Perché forse il fatto di stare dietro a uno schermo li rende asettici, freddi, insensibili.
Perché la gente è così.
Odia le persone senza un motivo, scarica tutta la sua rabbia prepotente e arrogante su un mezzo con le luci riflesse e non si accorge che dall’altra parte c’è un essere umano. Una persona. Che vive. Respira. Ama. Si innamora. Soffre. Cade. Si rialza.
E soprattutto le persone parlano di storie che non conoscono, di uomini e donne che non hanno mai visto, di argomenti seri che non approfondiscono, trattandoli come fossero chiacchiere da bar, imperversando come fossero scimmie parlanti.
Io mi ricordo di Lei (ora Le do del Lei) fuori da quella casa e dentro quel bar. Mi rimase impressa la sua garbatezza e delicatezza nel dirmi che in quel momento non mi voleva parlare. E mi colpì quella sua calma quando per un mese ha avuto giornalisti da tutto il mondo fuori casa. La riprendevano anche se andava a portare via le immondizie. Milioni di persone incollate alla televisione per vedere se per caso quel giorno fosse uscito a portare fuori il cane e ora quelle stesse persone la odiano perché lei ha dedicato un libro a sua figlia ed è andato a presentarlo da un noto conduttore.
Quale atrocità ha commesso Gino. Quale.
Ma la gente non sa. Non capisce.
Imbalsamata nelle loro posizioni, ingessata nei loro stereotipi, rincitrullita dai social; la gente nemmeno si pone il problema di cosa possa significare per un padre perdere la figlia in quel modo. E la moglie due anni fa. La gente non lo comprende. Stenta a capirlo. Nemmeno ci prova. Non prova empatia. Tatto, sensibilità. Veniva lì fuori casa a curiosare. A cercare di soddisfare la propria curiosità morbosa. E poi. Poi quando avrebbe bisogno di sostegno le dà la zappa sopra i piedi.
Odiatori. Frustrati. Avviliti. Depressi. Anemici. Finti. Invidiosi.
La gente non sa che ogni mattina le manca il fiato e la sera quando va a dormire anche. Non sa che scrivere serve a elaborare il lutto. A vivere due volte. A far rivivere.
Almeno, lasciatelo in pace.
Un padre che perde una figlia ha tutto il diritto di scrivere un libro, di presentarlo, di ricamarlo, di diffonderlo.
O volete togliergli anche questo?

sbetti


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