Ieri mattina senza sapere della tribolazione a cui sarei andata incontro, mi sono dovuta recare alle Poste.
Nonostante il caldo, non indossavo un completo di lino stazzonato un po’ sgualcito e forse manco stirato. E come tutti gli stronzi non avevo l’orologio.
Ma avevo un bel paio di jeans aderenti strappati alle ginocchia e una canotta con le croci. Non avevo il Financial Times come giornale e nemmeno il Robinson come inserto. Avevo due quotidiani di destra e il Foglio che tra le mie letture non può mai mancare. Poi nell’altra mano tenevo la raccomandata che dovevo ritirare. E in una la sigaretta.
Con la scusa che non sono mai a casa, infatti, e che non ho la domestica, noi esseri così spregevoli, raffazzonati e stronzi, liberali, di ceto medio non siamo abituati a essere serviti, il postino ha suonato una volta – quello era il film dove suona sempre due volte – ma non trovando nessuno ha lasciato il cedolino dentro la cassetta che se ne stava sgualcito dopo giorni di pioggia insieme a non meglio precisate carte di un colore tendente alla merda.
Non avevo nemmeno un libro perché ultimamente quello che sto leggendo è troppo grosso e quando manco da casa lo uso come ferma porte.
Insomma, entro dentro le poste e ho 13 persone davanti a me.
Un ammasso di disperati con gli abiti improvvisati, raffazzonati, imbastiti alla meno peggio, uno sciame di lanzichenecchi figli di un Dio minore che alle poste bestemmia, perché sono lunghe come l’anno della fame. Un solo sportello che funziona infatti è una cosa di cui ci si dovrebbe vergognare. La direttrice se ne stava dietro alla cassiera e a un certo punto ho chiesto se per caso non potesse metter due sportelli o se non potesse lei far qualcosa visto che se ne stava lì in piedi impalata e c’erano anziani e una donna incinta e una signora che doveva andare al cesso.
Sì è accaduto anche questo. Praticamente mentre eravamo tutti in fila la signora, una tipa senza abito di lino, sulla cinquantina, ha detto: “Io devo andare in bagno come faccio?”. Infatti non voleva perdere il posto, e rischiava di farsela sotto. Ora a parte il fatto che alla maggior parte degli stronzi senza orologio non interessasse nulla che lei dovesse andare al gabinetto, c’è stato un signore molto simpatico che ha iniziato a dire: “Dai, facciamo tutti quanti pis pis pis”, e così tutti, giuro non sto scherzando, si sono messi a fare “pis pis pis”. Un’altra poi, nel teatrale quadretto ci ha rinunciato. Un signore invece mi ha detto che era la seconda volta che tornava, che questa mattina di persone davanti ne aveva 25 e che non può essere che uno debba prendersi un giorno di ferie per andare in posta. Ma nel mentre attendevo il mio turno, sono stata pervasa da una beatitudine immensa, qui ci ho trovato l’esercito dei disperati, con i nostri crismi e i nostri problemi, con i nostri drammi etici ed esistenziali, con i nostri tormenti e le nostre inascoltate attitudini, con i nostri cazz e mazzi, problemi immensi, irrisolti, incastrati dentro i casini della vita che scorre e che va avanti anche in prima classe con i cafoni, senz’aria condizionata, in mezzo ai più declassanti deliri. E mi sono stupita di quanti lanzichenecchi vi fossero in giro. Poi però è entrato uno stronzo con l’orologio che dinanzi alla fila bella folta e drammatica ha tirato quattro boie. Aveva il completo di lino stazzonato e ho visto che ha preso il biglietto e si è messo in coda come tutti noi coglioni.
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