Qui dove ci stanno la Perla del Delta e l’uomo che crea le maree

Le chiamano le cavane e stanno qui tra terra e mare. Sospese sull’acqua sembrano palafitte. Sono le rimesse dei pescatori. Alcune sono grandi. Altre sono piccole. Qui i pescatori tengono le barche, gli attrezzi, da qui partono, vanno per mare, poi tornano. Chi è nato al mare. Torna sempre. Entriamo dentro una cavana, è la cavana dell’Ostrica Rosa Tarbouriech, la Perla del Delta, in questo territorio Patrimonio dell’Unesco. Sacca degli Scardovari, a Porto Tolle. Qui dove il Po e l’Adriatico fanno l’amore, nascono le più belle ostriche. Polpose, allenate, muscolose. Un sistema innovativo di allevamento le rende ancora più carnose, più belle. Un’acqua particolare che garantisce il giusto tocco. Dal pontile guardiamo di sotto, stupenda, cristallina, si vede il fondale. Entriamo e ad accoglierci c’è Riccardo Marangon con altri colleghi. Lui ha 26 anni. A capo di tutto c’è Alessio Greguoldo, l’uomo che crea le maree, che di anni ne ha 43. Riccardo ci mostra il procedimento. Qui l’ostrica nasce, cresce, viene allevata, accudita, pulita e confezionata. Da qui parte la semina, ancora prima dell’embrione. I semi vengono messi dentro una cesta triangolare fatta a retina tutti assieme. Oltre quattro milioni. Quando le ostriche crescono vengono legate a una corda tre a tre con una goccia di cemento, un cemento speciale, atossico. Le ostriche in questo modo restano aggrappate. Da qui le portano all’impianto che sta in laguna, e vengono lasciate qui un anno e mezzo. Quando diventano “adulte” le vanno a prendere e le staccano dalla corda con un macchinario. Poi le passano, una a una; con un attrezzo eliminano alghe, parassiti. L’ostrica viene messa dentro a delle ceste, dei panieri australiani e rimessa in mare per la fase di affinamento. Ma tutto il processo è sorprendente. Mediante un’app sul telefonino gli uomini della squadra di Greguoldo creano le maree, se quel giorno decidono che le ostriche devono stare in ammollo, da qualsiasi parte del mondo essi si trovino, abbassano le ceste, ci sono dei tubi che avvolgono la corda e portano le ceste di sotto; se invece l’ostrica deve rimanere asciutta, le tirano su. Le onde e il vento favoriscono il movimento e l’ostrica si muove, fa immersione, diventa bella, rigogliosa. Va in palestra, fa muscoli. Fa fatica, va su e giù, giù e su, e il muscolo si ingrossa. L’ostrica di Greguoldo è carnosa polposa, c’è tanto da gustare. Ha il guscio più spesso. Dopo due mesi sono pronte per essere vendute, pulite, preparate, le si portano al consorzio e arrivano sul piatto. Piatti di grandi chef, ovunque in Italia, dappertutto nel mondo: Grecia Malta Cina Giappone Dubai. Il tutto parte nel 2010. Greguoldo conosce Florent Tarbouriech, guru internazionale del sistema di allevamento di ostriche, che gli dice: se riuscite a fare una cozza così buona – la cozza di Scardovari è marchio Dop – perché non provare a fare anche un’ostrica. Greguoldo ci sta, accetta e nel 2016 entra in società. Costruisce il primo impianto, nel 2017 il secondo, nel 2019 il terzo e il quarto. A oggi gli impianti sono sei. Nel 2017 entrano nei grandi ristoranti, le ordinazioni aumentano, da 1000 pezzi a settimana arrivano a produrne 7 mila. Il loro lavoro inizia la mattina alle otto con la luce del sole e finisce prima del buio. Il lavoro è a ciclo continuo. L’ostrica è come un bambino. Nasce, cresce, piange, ride, la devi mettere in acqua, la devi pulire, la devi vestire. “L’innovazione e l’ambiente – dice Greguoldo al Giornale – hanno favorito un’ostrica che ha dell’incredibile. Il muscolo si sviluppa fino a 4 volte di più rispetto a un’ostrica che è sempre in acqua”. Di media ha il 21% di carne, la sua arriva fino al 29%. “C’è un’acqua particolare che fornisce nutrimenti importanti per i molluschi. La sapidità dell’animale è inferiore agli altri. Piace anche a chi non è amante delle ostriche”. Un’ostrica rosa perché sulla conchiglia i raggi del sole formano striature. Di questo colore.

Serenella Bettin

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