Oggi una mia amica è partita per un viaggio. Il Cammino di Santiago. Mi aveva chiesto se volessi andar con lei. Ma di viaggio ne sto preparando un altro e impegni di lavoro mi tengono qui fino a sabato. Lei è andata da sola. Coraggio. Coraggiosa. Un viaggio di quindici giorni che la porterà da Oporto fino a su. Fino a su al Cammino. Allora ieri ci siamo sentite e mi fa: “sai mi sento strana”. E io le ho detto “lo so, immagino. Come se oggi fosse infinito. Come se oggi sembri non scorrere mai”. E lei mi fa: “esatto. proprio così”.
E lo so. Lo so che ci si sente strani. Che ci si sente lenti. Impauriti. Pesanti. Lo so che quando parti, il tempo prima di partire sembra non finire. Infinito. La so bene l’attesa di quei giorni. Lo so che quando i minuti scorrono le ore e le ore scorrono sui minuti tutto sembra procedere a rilento. E lo sa anche lei che di viaggi e partenze e arrivi e aeroporti ormai ha perso il conto. Lo so che non vorresti salutare nessuno. Che vorresti ritrovarti su quell’aereo senza accorgertene, così come se niente fosse, mandare un messaggio e dire: “sono partita e sono anche quasi arrivata”. Io. Io non dico mai quando parto. Lo dico sempre lo stesso giorno. Perché ogni volta. Ogni volta è come fosse la prima volta. Ogni volta non ti abitui. Ogni volta pensi che sarà diverso e invece. Invece ogni volta è pure peggio. Perché si alza la posta in gioco. Perché cambiano le aspettative. Perché ci si pongono nuovi e più difficili traguardi. Nuovi obiettivi. Perché ci si spinge oltre i confini. Si travalicano i limiti. E allora. Allora l’altro giorno mi sono trovata a fare un aperitivo con un amico. Uno di quelli che ti dicono le cose come stanno. Uno di quelli pieni di soldi ma che credono che nella vita le cose importanti non le puoi comprare. E lui. Lui ha subito capito che in questi giorni qualcosa frulla all’impazzata dentro la mia testa. E mi fa: “Serenella è il momento, devi scegliere. Tu sei uno spirito libero”. Già lo so. Lo so che devo scegliere. E poi mi ha detto: “Ma ricordati, che vuoi andare perché puoi tornare”. “Cioè?”. “Se non avessi una radice saresti smarrita”.
E lo so. Lo so bene. E le mie radici non le rinnegherò mai. Sono fiera delle mie radici. Delle mie origini. Della mia appartenenza a una terra. Ma gli ho detto che non sopporto le partenze. I saluti. I pianti. Gli sguardi. Quegli attimi prima di infilarti in aereo e dire: “sono su”. Gli ho detto che non sopporto tutti i giorni e le ore prima della partenza. Tutti quei minuti che scorrono lenti. Quegli sguardi annacquati. Quei tatti vellutati. Perfino le sigarette sembrano più lunghe. Perfino gli spiccioli del caffè preso al bar sembrano non fare rumore. Come quelli di quando partii per il Kosovo.
Vivi in una bolla. Che poi scoppia.
Perché poi. Poi ti rendi conto che fa parte del gioco. Del rischio. Che fa parte della vita. Ti rendi conto che una partenza è bella perché sai anche di poter tornare. Come questa mia amica che non vede l’ora di raccontarlo questo viaggio da sola. Perché quando stai da solo tutto aumenta. Tutto si ingigantisce. Tutto sproposita. Inizi a pensare. A scavare. A torcerti contro. A manipolare. A estrarre. Inizi a infilare la mano dentro la gola e tirare fuori. Tirare fuori di tutto. E così il giorno prima di partire mi fa: “poi quando sei da sola fai i conti con i tuoi demoni”. Già. Ci stanno alcuni momenti in cui sei tu e la tua fottutissima cazzo di paura.
E alcuni momenti in cui ti guardi allo specchio, incroci il tuo sguardo, ti guardi dritta negli occhi neri scuri come il carbone e fai i conti. Fai i conti con te stessa.
#buonanottesbetti
#sbetti
Ps: unghie di Sabrina Patron