Noi “No Yes Man”

Dal diario di Facebook del 1.luglio di un anno fa.

Io appartengo a quella categoria di farabutti che per non aver detto “Yes Man” sono stati cacciati.

Allora cari Yes Man come va? Dunque adesso vi racconto una cosa. Venerdì sera ho conosciuto Guido #Bertolaso. Una persona squisita. Una persona che già a vederlo scendere dal treno, lì in quella stazione di Padova, si vede che sa il fatto suo. Pronto. Attento. Risoluto. Ecco. Poi l’ho rivisto ieri. Allora ieri sera quando sono arrivata a casa ho pensato che c’è un momento la sera, quando rientri e ti spogli di tutto. Di tutto. Metti giù gli anelli. Gli orecchini. I vestiti. Ma ci sono cose di cui non riesci a spogliarti. No. Ci sono cose che non si scrollano mai di dosso. E che rimangono nella mente anche dopo aver dormito dodici ore di fila. E sono le persone che incontri. I discorsi. Le parole. Ecco, quelle rimangono appiccicate come la pece sulle mani di una ballerina che si prepara alle parallele e rimangono lì. Tutta la notte. Tutto il giorno. Tutta la vita. Se ne stanno attaccate come una scimmietta pronta a batterti sulla testa con la zampetta, ogni volta che ne avrai bisogno o ne dovrai fare uso. E infatti. Allora ieri mattina Guido Bertolaso a un convegno dedicato alla protezione civile ha fatto un magistrale intervento. E io, se non fosse stato che in quel momento avevo tremila cose in mano tablet telefonino agenda e via discorrendo, avrei gettato tutto per terra, alzato le braccia al cielo e applaudito a più non posso. Allora Bertolaso se ne stava sopra quel palco con addosso ancora quel giubbino e con quella voce roca e colta ha iniziato a parlare. E parlava. Parlava. Parlava. Parlava che sembrava che non volesse mai finire. E parlava che lo avresti ascoltato per ore. E a me sono sempre piaciute quelle persone che con la voce roca parlano e dalle corde vocali traspare una voce carica di esperienza. Mi sono sempre piaciute sì. Allora lui ha iniziato dicendo che negli ultimi anni gliene hanno dette di tutti i colori. “Ho fatto otto anni di purgatorio per non dire inferno – ha detto – durante i quali avevo deciso di stare completamente zitto per vedere cosa sarebbe successo dopo le vicende giudiziarie che mi avevano colpito”. Otto anni in cui l’hanno accusato di tutto. Corruzione, omicidio colposo, “tutte le peggiori accuse che si possono affibbiare – ha detto – a uno che del servizio ai cittadini, al proprio Paese e allo Stato ne ha fatto la parola d’ordine anche come comandamento, addirittura anteponendo questo genere di interessi a quelli che sono i rapporti umani come una famiglia delle figlie e tutta una serie di altre attività”. Allora Bertolaso poi ha cominciato a parlare di quella attività. Della protezione civile. Di come sia importante fare rete. Fare squadra. Di come si lavori anche fino a notte inoltrata, fino alla mattina dopo, senza dormire, senza mangiare, senza a volte bere, sotto la pioggia, al freddo, al gelo, o al sole, con le peggiori condizioni atmosferiche ma l’obiettivo rimane sempre quello: salvare vite umane. Non la sorveglianza alla sagra della salsiccia. Sì quello si può fare ma l’obiettivo primario è salvare quando c’è l’emergenza. E poi Bertolaso ha raccontato di quando stava nelle zone terremotate e aspettavano fino alle tre di notte per avere un piatto di pasta dentro dei container o delle tende. Container che lo Stato avrebbe dovuto sostituire con delle casette entro due mesi. Due mesi. Non due anni. Ma lo Stato si sa è sempre in ritardo. Arriva in anticipo solo per chiederti di pagare. Solo per avvisarti della scadenza. Allora dicevo ha raccontato della sua esperienza con le zone terremotate e poi ha raccontato di quelle notte che ci fu lo tsunami. Lo svegliarono nel cuore della notte. E lui nel cuore della notte. Mobilitò il mondo. Chiamò chi di dovere. Bloccò i voli. Chiuse gli aeroporti. “Avevamo creato una rete internazionale”, ha detto sempre con quelle voce roca come se fumasse e con quelle corde vocali che narrano l’esperienza. Non come adesso. Che ognuno non pensa che al suo piccolo orticello. Piccole molli zavorre che impediscono perfino di fare rete. Di fare squadra. E poi. Poi Bertolaso ha raccontato di quel giorno ai funerali di Giovanni Paolo II. Una folla oceanica. Gente da tutto il mondo. Dodici ore di coda prima di poter entrare dentro la Basilica. Quella notte fecero una notte intera di briefing e ne uscirono che ciascuno sapeva perfettamente cosa avrebbe dovuto fare. E poi. Poi Bertolaso ha parlato dell’importanza di essere pratici. Di ridurre la burocrazia. Dell’importanza di essere presenti e di crederci sempre. E poi. Poi c’è stata una cosa che mi ha colpito. E che avrei fatto proprio quello che ho detto. Avrei gettato tutto per aria. Alzato le braccia al cielo e applaudito per ore. “Abbiamo creato un gregge di yes man – ha detto – asserviti alla politica che ogni giorno non dicono il proprio parere perché hanno paura di essere cacciati”. Già. Ventri molli. Amebe. Gente senza spina dorsale.

E infatti. Cari spioni di #Facebook. Io appartengo proprio a quei farabutti invece, che per aver detto il proprio parere e per aver detto “no man” sono stati cacciati.

#sbetti

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