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L’Italia è quel Paese dove ognuno può fare quel cazzo che gli pare. Ma che lascia i propri figli morire di fame.
Allora oggi ero seduta a scrivere in un bar, il titolare esce e mi fa: “ti vedo triste”. Io triste? No. Sono incazzata. Incazzata. Allora ultimamente mi capita di parlare con dei giovani, che mi raccontano le loro esperienze. I loro sogni. I loro desideri. I loro pensieri. I loro progetti. I loro desideri raccolti e buttati negli sciacquoni dei cessi. E più ci parlo più mi dico che il nostro è un Paese di cacca. Che crolla su sé stesso. Che zoppica. Che sovrasta e soffoca ogni iniziativa. Allora questi giovani hanno vent’anni. Venticinque. Trenta. Sono studenti. Diplomati. Laureati. Masterizzati. Sono persone che hanno fatto corsi. Esami. Seminari. Dottorati. Assegnisti di ricerca. Che collezionano caselline per riempire i curriculum nell’attesa che qualcuno apra loro la porta e dica: “prego si accomodi, le faremo sapere”. Ed è gente formata, plurilaureata, informata, documentata, alcuni sanno tutto di tutti i requisiti per accedere a qualche master, bando, a qualche richiesta di finanziamento, progetto europeo, perché in Italia, in Italia, in Italia funziona che per quanto tu possa studiare e ti possa formare, non sarai mai abbastanza formato. Non avrai mai abbastanza studiato. Imparato. E per fortuna. Ma poi. Poi arriva il giorno a quarantadue anni in cui vorrai mettere in pratica la tua teoria. E invece. Invece ti ritrovi a dover fare pure il corso di formazione per allestire le vetrine dei salami e dei prosciutti. Per mettere le candeline fuori quando è Natale. E per tirarle dentro quando è passato Capodanno. E allora oggi prima del burrascone del temporale estivo riflettevo e volevo dire una cosa a quei quattro dilettanti allo sbaraglio che da qualche anno si succedono tra le sedie ben pagate di Quirinale, Governo e Parlamento.
Che ne sapete voi. Che ne sapete. Che ne sapete di come si sta a trent’anni. Di come ci si sente a venticinque. Di come ci sente a ventitré quando ti chiedono l’esperienza. Quando cercano personale non pagato che sappia fare. Quando ti propongono stage. Sottostage. Sovrastage. Cazzo stage. Quando ti dicono che sì, che puoi intanto iniziare e che poi qualcuno valuterà se pagare. E che ne sapete voi di quanto un giovane fatica ad andare avanti. Se il lavoro non c’è. Se quello che c’è viene pagato male. Se ci stanno le cameriere in nero che lavorano a quattro euro l’ora. Se ci stanno le parrucchiere che si pagano i corsi di formazione. Se ci stanno gli stagisti che pagano il pranzo agli avvocati. Se ci stanno quelli che vengono presi per tre mesi, e poi lasciati a casa. Quelli che non hanno tutele. Che non vedono prospettive. Che non vedono garanzie. Che non vedono futuro. Che ne sapete voi di come ci si sente a trent’anni quando ti svegli la mattina e vedi un mare sconfinato tinto di nero. Di come ci si sente a trent’anni quando questi giovani vorrebbero farsi una famiglia, crescere dei figli e invece fanno ancora i conti con le aranciate e gli spritz pagati con gli spiccioli avanzati. Che ne sapete voi di come ci si sente a trent’anni quando sei costretto a rincorrere di tutto per non perdere il lavoro. Quando vorresti andare in ferie e non ci puoi andare. Cosa ne sapete. Cosa ne sapete voi se i giovani mettono al mondo figli destinati all’infelicità. La nostra è una società che produce figli a cui non sa ancora se sarà in grado di garantir loro un futuro. Di farli lavorare. Di farli crescere. Di farli studiare. Di farli innamorare. Mettiamo al mondo figli destinati a essere servitori di un destino che non hanno scelto. E poi. Poi. Poi che ne sapete di come ci sente a trent’anni con l’affitto da pagare, con la spesa da fare, con le bollette da mettere in conto. Con le pulizie da fare tra un ritaglio di tempo e l’altro. Che ne sapete di come ci si sente se per resistere devi stare in coppia per dividere le spese. Perché una persona single qui, su questa terra, mica ci riesce a stare da sola. No. Gli affitti stanno alle stelle. Quelli delle bettole pure. La fortuna che puoi avere è farti un appartamentino in una casa di proprietà di famiglia. Ma sennò. Sennò cosa fai? Vai a chiedere un mutuo, ti ridono in faccia. A 37 vogliono le garanzie di mamma e papà. A 40 anni ancora ci sta gente che una casa non ce l’ha. E allora. Allora se non ci diamo una mossa. Se non urliamo che questo mondo non va bene. Se ci adeguiamo. Se ci adattiamo. Se ci pieghiamo. Se non ci rimbocchiamo le maniche, la nostra è una vita sprecata. E chi ama la vita non si piega. E allora volevo dire una cosa a questi dilettanti allo sbaraglio. A voi. Voi che state al Governo. A voi che ogni giorno studiate, twittate, postate, voi che ogni giorno ci fate vedere quanto bello sia il sole di Roma o di Bruxelles, a voi che studiate come risollevare questa Italia, che fate riforme, che proponete proposte, che fate piani, progetti, che studiate bonus, incentivi, ma dove straminchia siete? Dove? Perché voi. Voi. Voi ma che cazzo ne sapete di come ci si sente a trent’anni?
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