Qui dove si canta la Storia

Quando l’altro giorno sono entrata in questa stanza. In questa bottega. In quest’eremo come ama descriverlo Francesca Gallo, ci sono andata con l’intento di immergermi in una storia. Di chiudere per un attimo la porta. E lasciare il mondo fuori. Di immergermi un attimo in un altro mondo per cercare di capire il mondo fuori.

Perché lei, Francesca Gallo, 43 anni di #Treviso, ha raccolto e raccoglie le storie degli emigrati italiani, le ha registrate, le ha messe su carta, le ha archiviate e ora le narra in giro per il mondo. Le canta. Le racconta. Le interpreta. Le intona con quella sua fisarmonica di legno di pero fatta a mano col padre.

E allora ho conosciuto Francesca durante una serata. E subito sono rimasta incantata dalla sua voce, così soave e calda, e dalla sua capacità così schietta di parlarti prima in dialetto e poi in un italiano perfetto. Che più perfetto non si può. Vocaboli scelti. Semplici. Lineari. Così lineari come la Storia che lei vuole raccontare. Perché a un certo punto della sua vita ha sentito che le mancava un pezzo. Che stava sì vivendo il presente, che era proiettata verso il futuro, ma che era come se mancasse il passato.

E così ha deciso di partire. E di ricostruire il puzzle cercando prima i pezzi. Senza scatola. Senza confezione di pezzi già pronti.

Per otto mesi, con la fisarmonica in spalla e uno zaino, ha percorso i sentieri del Canada e del Belgio alla ricerca di quegli italiani migrati all’estero nel secondo Dopoguerra.

E infatti. Infatti ha raccolto 3000 canti che poi ha portato in giro in 24 Paesi per oltre 1400 concerti.

Una “straccivendola d’anime”, ama definirsi.

E allora c’è stato un momento quella sera quando l’ho conosciuta in cui alla frase: “sono partita per raccontare le storie degli emigrati italiani”, mi sono rizzata sulla sedia e ho pensato che questa persona dovesse avere una storia pazzesca. Che dovevo conoscerla. Che dovevo seguirla. Che non volevo limitarmi al fatto che lei fosse l’unica in Italia a costruire le fisarmoniche a mano. No. Volevo di più. E allora lì, lì ho cominciato a chiedermi perché. Perché mai una persona quasi trentenne, un giorno avesse dovuto prendere la borsa e mettersi in cammino.

E così l’ho avvicinata e sono andata a trovarla.

Poi. Poi l’altro giorno ho capito un po’ perché. Mentre Francesca mi parlava in quella stanza avvolta dal profumo del legno appena raccolto, e in quella stanza piena dei suoi attrezzi così meticolosamente riposti, e in quella stanza con le foto di lei che contempla il padre, ecco dicevo in quella stanza ho capito un po’ perché.

E il suo perché sta tutto racchiuso in una lavagnetta che vi racconto oggi sul #Giornale. In quella lavagnetta ci sta scritto: “Tradizione è custodia del fuoco, non venerazione della cenere”. Una missione che lei vuole portare avanti. Perché se dimentichiamo chi siamo, chi sono stati, chi siamo stati, siamo come tanti bagagli senza una base. Senza la via del ritorno. Siamo come tante valigie anonime che passano i nastri della vita aspettando che qualcuno scelga. E perché come mi ha detto Francesca verso la fine, dopo una chiacchierata di circa tre ore, “una freccia con l’arco prima la tiri indietro e poi la lanci avanti”.

Già. E allora mi sono detta che nelle cose vale la pena entrarci. Che bisogna spingersi fino in fondo. Anche quando costa fatica. Anche quando richiede sacrificio. E lei di sacrifici per questa bottega che un giorno vorrebbe tramandare ne ha fatti tanti.

Sì insomma mi sono detta che a volte bisogna chiudere un attimo la porta, lasciare il mondo fuori per immergersi in una storia che vale la pena raccontare.

E oggi la trovate sul #Giornale.

Buon pomeriggio.

#sbetti ❤️ 👇

http://m.ilgiornale.it/news/2019/05/05/la-dama-della-fisarmonica-che-canta-le-storie-degli-emigrati-italiani/1689144/

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