Oggi ho incontrato una donna. La conoscevo. La conosco. Ma non sapevo stesse male. E allora l’ho vista venire avanti mentre era sorretta da un’altra donna. E allora la vedevo venire verso di me. E mentre veniva verso di me, mi dicevo: io questa donna la conosco. Io questa donna l’ho vista da qualche parte. Io questa donna mi ricorda qualcuno ma non so chi. Poi. Poi si è avvicinata. Mi ha sorriso. Mi ha salutata. E mi ha detto: ciao Serenella.
E allora io le ho detto: ma ci conosciamo?
Avevo capito stesse male. Ma sapete quelle situazioni in cui il tempo corre più veloce dei pensieri e non riesci a fare in tempo a fermare il tempo per dire quello che vorresti.
Ecco, e allora lei mi fa: “sì, ti ricordi…” e mi ha detto dove e come ci eravamo conosciute.
E allora io le ho detto: ma sei tu?
E lei: “eh sì, sono io”.
E non lo so come ci sia rimasta. Ma io ero quasi incredula. Non sapevo che dire.
Perché aveva il volto circondato da un velo. E sotto quel velo aveva la pelle di un colore roseo, ma roseo vivo. E aveva gli occhi. Gli occhi che brillavano di luce. Gli occhi che dicevano: il male è dentro di me, ma io sono viva. Viva.
E allora mi ha fatto brutto vederla.
Perché non avrei mai voluto vedere una persona star male.
Poi però non mi sono azzardata a dire niente. Sono rimasta fissa. Immobile.
Un’altra persona mi chiamava ma io fissa immobile in quel cazzo di pezzo di strada continuavo a fissare quel metro quadro di asfalto e mi chiedevo perché il male colpisce gli uomini.
Gli essere umani.
E allora la guardavo, e per un attimo avrei voluto scappare da quell’ammasso di gente attorno a noi e mettermi a piangere. Ogni tanto mi capita. Ogni tanto lo faccio. Ma non mi sono sentita di dire niente. Niente. Non mi sono sentita di chiedere come stai. Di dire che hai.
Nella vita degli altri, nel dolore, nella malattia, facendo questo lavoro, ho imparato che si entra in punta di piedi, senza fare rumore, senza creare oppressione, chiedendo permesso, non come quei cafoni che in bagno ti aprono la porta del cesso.
Ho imparato che si entra nel dolore degli altri, senza creare i presupposti per vivere quel dolore. E che tu difronte a quello che provano gli altri, sei niente.
Non si fa come quei quattro cagacazzi convinto che sono pronti a chiederti come procede solo per sapere le ultime novità, solo per sapere; e solo perché la curiosità è più forte del rispetto, è più forte della vergogna, più forte del buon senso.
Solo per la bramosia di dire so anch’io.
Solo per dire. Appunto.
E allora ne ho viste di situazioni dove il dolore piomba addosso dall’oggi al domani e come un turbine sconvolge la vita, te la sconquassa. Te la stravolge, te la lacera.
Quel dolore che non lascia tregua e che non lascia altra via d’uscita se non il percorrerlo e uscirne vincitori.
E allora non lo so se ora questa persona mi sta leggendo, ma volevo provare a lanciare un messaggio, perché alla fine puoi dire tante cose, puoi dire tante parole, tante, tantissime, bellissime ma nulla conta più della tua testa, del pensiero positivo, della forza, e della convinzione di potercela fare.
Perché come ti ha detto oggi una persona: “ricorda che dopo la notte, c’è sempre il giorno”.
#sbetti