Domenica a mezzogiorno ero in un locale. Uno di quelli sapete dove fanno gli aperitivi e le cose buone da mangiare. E allora dicevo ero in questo locale e ho visto un uomo. Un vecchietto. C’aveva gli occhiali e il sorriso spento. Gli occhi non si vedevano nemmeno, come se non c’avessero più nulla da guardare, coperti da quegli occhiali con cui guardava il mondo. Poi mi sono girata e dall’altra parte ho visto una donna. La donna circa settant’anni c’aveva le unghie rosse e un cappottino viola. L’uomo invece c’avrà avuto circa ottant’anni, forse di più e se ne stava lì seduto su quella panca di legno con il capo abbassato e le mani posate sul tavolo rivolte verso l’alto.

Le dita che faticavano a stare dritte, se ne stavano flosce sopra quel tavolo, che sembravano quelle di un umano senza vita, come attendessero. Come attendessero che qualcuno le andasse a prendere. Già. Attendevano.

E allora ho preso il mio caffè, sono uscita, mi sono fumata la mia sigaretta e quando sono rientrata dietro di me ci stava quella donna, con le unghie rosse e il cappotto viola. Se ne stava da sola seduta su uno di quei tavolini dove ti portano i bagigi e le patatine e davanti a sé aveva un calice pieno di spritz.

Allora ho guardato quell’uomo. E ho guardato quella donna. E ho chiesto al titolare del locale chi fossero. Mica perché sono invadente.

Ma perché è un po’ che li vedo lì. E allora la titolare mi ha detto che lui è un vecchietto che c’avrà all’incirca ottant’anni e che la moglie è morta tre anni fa. Ma che siccome con i figli non va tanto d’accordo e siccome lui a casa non si fa da mangiare, allora la domenica va lì e almeno mangia da solo ma in compagnia. Sì insomma nell’atmosfera di un locale. Nella casa di chi non ha casa. Insomma sì guarda le persone. Ascolta un po’ di musica in sottofondo. E intanto aspetta. Attende. Attende il cibo. Attende l’acqua.

Attende il caffè. Attende la sera.

La donna invece è un po’ più giovane, è sposata ma siccome a casa forse non ci vuole stare allora anche lei va lì. E attende.

E allora non lo so. Non lo so. Ma stanotte mi sono trovata a sognare la vecchiaia. Non la mia, la vecchiaia di alcune persone care. E c’è stato un momento in cui ho avuto una sensazione bruttissima che anche ieri mattina quando sono andata a correre, mi portavo appresso. Ed era la sensazione di chi è vecchio e aspetta di morire. E sarà perché ultimamente ne vedo tanti di vecchietti. O forse li vedevo anche prima, ma ora ci faccio caso. Vedo il vecchietto che conta gli spiccioli al bar. Quello che passeggia solo soletto sotto la pioggia. Quello che ogni mattina e ogni sera sempre alla stessa ora, fa sempre lo stesso percorso. E quello che la sera ti passa davanti con le spalle ricurve e cammina e cammina piegandosi in avanti che sembra portarsi appresso il macigno della vita. E poi vedo pure quello che compra i Ferrero Rocher al bar. Che si prende il giornale. O quello che esce con il sacchetto delle medicine sulle mani.

Come questo signore qui che lento avanzava e in una sera d’inverno lungo le calli veneziane.

E allora oggi quando ho ripensato a questo sogno ancora quella sensazione c’era. Perché mi sono detta, come, come si faccia a sopportare l’idea di aver vissuto e di prima o poi doversene andare. Come a dire basta. Come a dire che in questo mondo non ho più niente da dare. No. Perché credo che queste persone, ancora abbiano molto da dare. Basta soltanto stimolarle e farle rivivere. Sì insomma credo che abbiano ancora una vita da vivere. Quella della vecchiaia, senza dover patire il peso di chi aspetta.

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