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L’articolo apparso su Il Gazzettino, Venezia Mestre l’ 8 febbraio 2016

“La spensieratezza va stroncata fin dalla nascita”. Comincia così lo spettacolo “Fratto_X” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, al Teatro Metropolitano Astra di San Donà di Piave (Venezia) venerdì sera. Un teatro pieno per uno spettacolo grandioso. Taumaturgia la chiamano, dal greco θαῦμα, thaûma, “miracolo, meraviglia” e ἔργον, érgon “lavoro, opera”. Una cosa meravigliosa, degna di essere vista.

La sua capacità di guarire un pubblico che rideva anche mentre Rezza non c’era. Emblematica la scena dove lui impersona Mario e correndo con un triciclo scompare. In lontananza si sente la sua voce, le sue grida, il suo eco che continuano a far ridere. Un legame questo che ha unito il pubblico con l’attore dall’ inizio alla fine. Addirittura durante gli sketch finali anche lo spettatore diventa parte teatrale. Rezza dotato di uno specchio riflette la luce accecando i volti della buia platea, fa alzare le persone e per comporre la scenografia le fa sedere da un’altra parte.

Perché Rezza è questo che sa fare, lui attore novarese sa catturare, sa trasportare, sa far ridere. Una comicità che supera la dimensione del reale, ma che si rifà a cose estremamente concrete. “Ognuno ci vede quello che vuole – dice Rezza – ognuno ha una sua deduzione. Noi lavoriamo sul potere, sulla realtà drammatica a volte vera, sulle scappatoie esistenziali. Sull’esercizio del potere legato al dominio, dove uno comanda e l’altro subisce”. Dall’ansia fatta persona che come un falco posa su di te fin da piccolo, alle pressioni psicologiche dei genitori, alle assurde liti tra marito e moglie, al famoso Fratto X che elimina l’uomo. “Si muore per la troppa semplificazione”.

Un Rezza che mette alla prova il pubblico, come quando parla e si allontana dalla scena illuminata. Lo spettatore segue l’attore che cammina nel buio fino a che lui non scende dal palcoscenico e scrollando un signore seduto in prima fila ricorda a tutti che la scena da guardare è quella sopra il palco, quella illuminata, non quella buia. Un invito a non perdere mai la concentrazione, a ridere di sé e ad avere immaginazione.

Un’immaginazione che però non è servita quando Rezza giocando con i suoi innumerevoli teli e saltando su sé stesso ha messo in mostra per tre volte, per mezzo secondo – il tempo della sospensione in aria – la parte più intima di sé. Una parte coraggiosa, che fa ridere il pubblico. Perché è arte, è splendore, è libertà.

“Non è una sorpresa – dice Rezza – tutti sanno cosa c’è sotto. Il nudo è il vestito di partenza, noi partiamo nudi. Il non accettarlo è un malessere culturale”. Un malessere che è vivo in questi giorni dove ormai ci premuriamo di coprire tutto, dalle statue dei Musei Capitolini per non turbare il presidente iraniano Rohani a Facebook – è della settimana scorsa la notizia – che censura una foto di nudo artistico di Helmut Newton per la mostra alla Casa dei Tre Oci a Venezia. “Anche nel 400 coprivano le statue romane con le foglie di fico – dice Flavia Mastrella che ha creato l’habitat dello spettacolo – ma noi siamo testardi nella nostra opinione che è quella che la bellezza deve andare in giro. La bellezza è naturale e il nudo è molto naturale”.

Già, e dopo la copertura delle statue dei Musei Capitolini e dopo del nudo artistico di Newton, l’esposizione al pubblico dell’organo maschile è un invito a riprenderci la nostra libertà, la nostra arte, la nostra cultura.

Soprattutto all’ interno di un teatro.

#sbett

 


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