Hanno detto che sarebbe stato meglio non condividere quelle intercettazioni. Hanno detto che sarebbe stato meglio non condividerle perché quelle sono le conversazioni private di un padre a un figlio e che chi le ha diffuse è un mostro.
E che abbia fatto un servizio pubblico.
Quelle non sono le conversazioni private di un padre che parla con il proprio figlio nella camera da letto, o facendo colazione la mattina, prima che il pargolo si rechi a scuola.
Quelle sono le conversazioni di un padre che va a trovare il proprio figlio in carcere, il quale risulta essere accusato dell’omicidio di Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata.
Diffondere quelle conversazioni non soddisfa, come ho letto e sentito dire, i desideri più nascosti della gente di sapere i particolari più macabri che sottendono alle inchieste, uno perché ne avremo fatto volentieri a meno, due perché qui non stiamo parlando di ricostruire la scena di un delitto. Il padre di Turetta ha detto al figlio parole che al di là del contesto, al di là delle solite cose che si dicono: “i giornalisti tagliano, prendono, cuciono, fanno quello che gli pare”, risultano essere parole gravi, anche se prese di qui e di lì: “Non sei un mafioso o un terrorista. Hai avuto solo un momento di debolezza. Ora devi farti forza, ti devi laureare, non sei il solo, ci sono 200 femminicidi”.
Dai figlio mio, ce ne sono altre 200 di donne ammazzate. “Papà ho preso 4”. “Eh vabbè dai non sei il primo, non sarai nemmeno l’ultimo”.
Parole da far accapponare la pelle, anche fosse solo per il tentativo disperato di un padre di rassicurare un figlio, perché sopra certe cose non ci si può passare. Togliere la vita a una persona non è una debolezza. E ci sono 200 femminicidi non può essere una giustificazione. Significa essere distanti anni luce.
Lungi da noi volerci sostituire a un giudice, già si fa fatica a fare i giornalisti ultimamente, figuriamoci i giudici. Ma ora pensate se a dire quelle parole fosse stato il padre di Saman – che ne ha dette anche peggiori – ma per assurdo no, provate a pensare se quelle intercettazioni fossero del padre di Saman che parla con il figlio, Dio mio apriti cielo, nessuno si sarebbe posto il problema se fosse il caso o meno di divulgare le conversazioni, di pubblicarle, di recensirle, di farci i fioretti, i merletti, gli editoriali, i commenti attorno. Saremmo stati tutti qui a dire: ecco vedete! Questo è l’Islam. Dio già me li immagino i post con il volto del babbo di Saman sullo sfondo e con le scritte: “Signori! Questo è l’islam!”, vero non c’è che dire. Mai difeso l’islam io. Ma allora perchè con il padre di Filippo dobbiamo essere tolleranti, garantisti, buonisti, comprensivi. Perché ? Solo perché è italiano? Considerate un delitto più grave a seconda della nazionalità della vittima? I giornalisti fanno i giornalisti. E se uno ha una notizia in anteprima la pubblica. Così come si pubblica la foto di una madre che allatta. Si pubblicano le cose belle, le cose brutte. Fa parte della vita. Nel mondo esiste il bene, il male. E nascondere il male può essere molto pericoloso. L’unica cosa che mi fa paura e che mi porta a chiedere: era il caso di pubblicarle? Renderle di dominio pubblico? È un Paese popolato da esseri così talmente fuori controllo il nostro. È la superficialità della gente. La bassezza. La mediocrità. Questo tentativo sempre di far passare in secondo piano un tema come quello della violenza contro la donna.
Quando morì Giulia, ci fu più di qualche spostato mentale che disse alla malcapitata di turno: “ti faccio fare la fine di Giulia”.
Ora qui spero non ci sia nessun padre che dica a un figlio: tranquillo, hai avuto una debolezza, ci sono 200 femminicidi nel mondo. Il tuo sarà il 201 esimo.
Oggi il padre in esclusiva al Corriere ha detto che l’ha fatto perché temeva che il figlio si suicidasse. Che era disperato. E che quelle frasi lui non le hai mai pensate.
“Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio – ha detto – Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse. C’erano stati tre suicidi a Montorio in quei giorni. Ci avevano appena riferito che anche nostro figlio era a rischio. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli”.
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