
Questa mattina sono andata a fare colazione in un bar in cui non andavo da tempo. Mentre uscivo dopo avere bevuto il caffè ho visto entrare un uomo. L’ho subito riconosciuto. Era il mio vecchio preside delle scuole medie. Ci siamo sbertucciati un attimo sulla porta. Passo io. Passa lei. Passa lei. Passo io. Alla fine è passato lui. Lui mi guarda. Io lo fisso. Sono lì che vorrei dirgli qualcosa e lui volge il capo dall’altra parte noncurante del fatto che lo stessi per salutare. Ma si sa. Per noi il preside era uno. Per il preside invece i ragazzini erano tanti. Così sono uscita dal bar. Ho chiuso la porta. Mi sono fermata fuori a fumare una sigaretta e pensavo a quello che avrei voluto dirgli. Volevo andare lì e ringraziarlo. Correva l’anno 1998 e io dovevo decidere le scuole superiori. I miei genitori mi avevano iscritto al liceo classico a dieci minuti da casa. Ma io al liceo classico non ci volevo andare. Mi piaceva anche come scuola. Ma uno era vicino casa. Due: avrei rivisto ogni mattina sempre le stesse facce che vedevo alle medie. Tre: non mi sono mai piaciute le cose comode.
Funzionava così all’epoca, andavano tutti nella cittadella della scuola dove c’erano tutti gli istituti e lì ci si ritrovavano tutti.
Ma io non ne potevo più. Io volevo evadere. Andarmene lontano da casa. E le alternative erano Padova o Treviso. Così scelsi la scuola che più distava dalla mia dimora. E scelsi Treviso. Quando lo dissi ai miei genitori non volevano mandarmi. “Dove vai a 14 anni in una città come Treviso”. “Hai un’ora di strada ad andare. Una a tornare”. Così una mattina, già ribelle e determinata, chiesi udienza al preside che mi ricevette nel suo studio. Lo pregai di non mandare la mia preiscrizione al liceo classico e gli dissi che quella prescrizione avrebbe anche potuto prenderla e stracciarla perché giuro non ci sarei andate nemmeno con i carabinieri. Il preside chiamò mia madre, la quale capii che ero veramente convinta di prendere la mia strada. Parlò con mio padre e mi lasciarono libera di decidere.
Ora a distanza di anni, penso che se tornassi indietro lo rifarei altre mille centomila volte. Passare da un paese di campagna a una città mi ha aperto la testa. Ha cambiato le mie abitudini. I miei modi di vedere e di pensare le cose. Mi ha portato a fidarmi più di me stessa quando la mattina avevi due ore per ripassare e facevi le nottate e ti svegliavi alle cinque. O quando uscivi da scuola che era tardi e sapevi che dovevi per forza prendere quella corsa del bus altrimenti avresti aspetto altre quattro ore. Mi ha aperto un mondo che non conoscevo. Mi ha fatto conoscere persone nuove a 14 anni. Mi ha ampliato gli orizzonti. Quando incontrate qualche ostacolo ma sentite che quella è la vostra strada, andate avanti dritti. Indossate gli scarponi. Sentite il loro battito. È lì che dovete andare.
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