Esattamente cosa vuole dire “necessaria radiografia al collo dell’utero” in un paziente uomo?
E cosa vuol dire: “Paziente esce dall’auto, un incidente di 4 ore, iniziato due ore fa con dolore al collo e nausea?”. E “studio radiografico della mamma cosciente”?
E ancora. Cosa sta a significare: “impressionante moderata disidratazione dovuta alla mancanza di appetito”. O “le membrane mucose secche e pallide sono annotate, non ittero”.
E cos’è esattamente un “fumatore gerarchico”?
A leggerli questi sberleffi della lingua italiana verrebbe da pensare che siamo matti o che qualcuno è uscito di senno, ma in realtà sono i referti giunti in mano alla Verità e provenienti dal pronto soccorso dell’ospedale di Latisana in Friuli Venezia Giulia.
Scivoloni linguistici, ruzzoloni verbali, svarioni idiomatici, che raccontano e narrano situazioni così talmente assurde e inverosimili, se non fosse per il fatto che gli autori di simili prodezze sono i medici esterni di origine sudamericana di cui il pronto soccorso di Latisana, quest’estate, si è avvalso per far fronte alla carenza di personale negli ospedali.
I medici argentini sono stati messi a disposizione all’azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale da una società privata. Il punto è che se già in situazioni di emergenza è facile sbagliare, figuriamoci con questi referti di cui non si capisce assolutamente nulla.
E il pronto soccorso è una realtà in emergenza assoluta.
Non sono ammessi distrazioni, ritardi, sbagli, errori, tentennamenti. Qui il tempo corre alla velocità della luce e bisogna prenderlo in tempo prima che prenda gli esseri umani.
Qui si sta in fila come i dannati, il traffico di barelle è inverosimile. Arrivano come arrivano le valigie ai nastri trasportatori. Gli infermieri le prendono, le spostano, le accostano, fanno retromarcia, vanno avanti, indietro. Ci sono anche quelli che sollevano i malati e – uno – due – tre – al mio quattro – giù sulla barella. Se uno si mette anche a perdere tempo per interpretare quello che un medico sudamericano, con tutto il rispetto, voglia dire, campa cavallo. Tanto che ora l’ospedale ha deciso di prendere un interprete. Ossia, la sanità pubblica in Italia è così talmente avanzata, che anziché far lavorare i medici italiani, importiamo quelli di altri Paesi e poi se non ci capiamo, prendiamo un traduttore che ci fa da tramite. Che bellezza.
Così abbiamo contatto il presidente regionale Fvg Aaroi – Emac, l’associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani – Emergenza Area Critica, e abbiamo addirittura scoperto che tutto questo è dovuto sì alla mancanza di personale, ma anche al covid di cui ancora portiamo sul groppone gli strascichi.
“La normativa italiana – ci spiega Alberto Peratoner– non prevede che questi possano lavorare in Italia, però con l’emergenza covid, con una deroga, è stata data la possibilità ai medici extracomunitari di venire qui. Ma per lavorare in Italia uno deve avere una parificazione con la laurea italiana, così come noi per fare i medici negli Stati Uniti dobbiamo fare un esame. Ma allora perché non investire sui nostri specializzandi?”. Già. Perché? “Quello che c’è dietro a queste cooperative private per noi rimane un mistero. Noi vediamo solo il risultato finale, che è questo, ma cosa spinga una cooperativa a scegliere un medico latino americano anziché uno italiano non lo sappiamo”. Le aziende sanitarie comprano questi pacchetti dalle cooperative e come si dice “ndò cogli cogli”. “Infatti – continua Peratoner – poi a noi arrivano questi casi qua. L’azienda ha dovuto ingaggiare dei traduttori per permettere ai pazienti di capire la lingua. Il problema è che queste coop senza criterio lanciano questi medici nel sistema pubblico. Farebbe sorridere, se non si pensa che dietro ci siano delle persone”.
Serenella Bettin



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