Da cittadina e da donna non capisco lo scandalo per la frase del professore che prega “per chi manda le alunne a scuola vestite da troie”. Non vedo lo shock ecco.
Un modo sicuramente irrispettoso, ma che a modo suo vuole fotografare la situazione.
Io ricordo ancora quando mio nonno mi diceva: “Ndo vai a Ponte Nina?”.
Ponte Nina per i marchigiani è la via dove ci stanno le mignotte.
Sinceramente non l’ho mai vista come un’offesa. Anzi era un modo buffo e onesto per dirmi: “Stai attenta perché in giro ci sono uomini che prima di ragionare col cervello, ragionano col pisello”. Non sono mai rimasta scioccata da tali parole. Anzi. Mi hanno svegliata.
Del resto. È molto vero. Se ti vesti troppo scoperta e usi le calze come pantaloni e i top sotto il seno come magliette, passi per mignotta. Inutile fare gli ipocriti. È così.
Non è roba da vecchi. Censura. O essere bigotti. È che per andare a scuola ci si veste in un modo appropriato. Si chiama rispetto. Questa parola così sconosciuta. È rispetto per una istituzione ormai ridotta a un colabrodo, dove si fa passare di tutto. La scuola in Italia è diventata uno scolapasta dove gli insegnanti sono talmente tanto resi goffi da presidi troppo accondiscendenti che esasperati ricorrono a similitudini stucchevoli. La scuola negli ultimi anni l’hanno scoperchiata. Soverchiata. Stuprata. L’hanno resa una Troia. La scuola. Quella con la S maiuscola. Quella senza Q.
Ci hanno infilato dentro i dogmi del politicamente corretto, questa più grande arma di distruzione di massa e ne hanno allargato le maglie come si allarga una maglia raggrinzita di ciniglia, e l’hanno slabbrata. Ma la scuola fino a prova contraria rimane un luogo dell’educazione. E della formazione. Ai miei tempi (ma nemmeno accadeva, perché il telefono si lasciava spento) l’alunna che durante l’orario scolastico – non me ne frega nulla se ci fosse il prof in classe o meno, era comunque orario di scuola – si fosse azzardata a girare un video con la pancia all’aria per postarlo su TikTok sarebbe stata sbattuta dalla vicepreside. E poi con ancora i denti da bimba sarebbe finita dalla preside. Avrebbero chiamato i genitori. E sarebbe stata sospesa. Invece adesso basta dire un semplice “No” ai ragazzi per vedersi arrivare a scuola i carabinieri. Il sindaco. L’esercito.
Genitori sempre più permissivi che riprendono gli insegnanti per i troppi compiti per casa. Quando andavo a scuola io, i compiti erano il quintuplo e si risolvevano in una maniera molto efficace: ci si muoveva. Punto. Non si perdeva tempo. La mia scuola stava a trenta chilometri di distanza. Facevo danza. Sono cresciuta a suon di un libro da leggere a settimana, una tavola di tecnica ogni sabato, un elaborato di artistica ogni domenica, versioni di latino ogni tre giorni e 50 esercizi di matematica tutti in una botta. Eppure io e i miei compagni siamo cresciuti sani (alcuni).
Mai andata a scuola con i compiti da fare. A costo di non dormire la notte.
Poveri questi ragazzi che non conoscono la bellezza che recano la fatica e il sudore. Se al posto della ragazzina ci fosse stata la professoressa con la mona al vento, gonna inguinale e pancia di fuori, tutti i genitori che fanno comarò sul cancello, l’avrebbero epitetata sicuramente come una persona che sta sulla Salaria e che mette in vista la propria mercanzia. Era accaduto anche quando andavo alle medie. Una professoressa era stata ripresa dalla preside, perché avezza a indossare la gonna troppo corta e le calze a rete. Concetti semplici. Lineari. Chiari. Così come se entri in Vaticano non ci puoi andare con i calzoni inguinali. Ora l’accusa per questo psicodramma nazionale, che pare aver tolto i riflettori perfino sull’Ucraina, è sessismo. Che non si capisce bene che roba sia. La gente vede sessismo ovunque, anche nei semafori che cambiano colore dove ci sta l’omino anziché la femminuccia. Ma questa è la deriva del politicamente corretto. La smania di concedere tutto. L’Italia che allatta i figli fino alla menopausa. Gli studenti che danno del tu ai professori. Ai miei tempi ci si alzava in piedi perfino quando entrava il professore e tanto basta. Perché in questo mondo di codardi, disarmati, imbroglioni, pagliacci, il messaggio che ora è passato, ad asciugare le lacrime di una ragazzina con la maglietta troppo corta, è che la prof ha sbagliato. Tanto che a essere finita nel circo della gogna progressista e a essere sottoposta a procedimento è stata lei.
Cioè il problema nei nostri cervelli cerebralmente stuprati da tutt e asterischi, non è l’alunna mezza nuda che gira un video a scuola per metterlo sui social; no, è la prof che allude alla Salaria.
Con il beneplacito del popolo fucsia. Chapeau.
Una cittadina, ex studentessa, fiera di essere politicamente scorretta.

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