Roma. “Qui fanno il pane più buono del mondo” 🌍

Roma – 26 febbraio 2021

Ogni volta che la sera poggio la testa sul letto, possa essere quello di casa, di un albergo, un hotel, un bed & breakfast; o quello di casa di un amico, un’amica, un collega, un parente; un divano letto; ecco ogni volta, cerco sempre di essere sempre grata a chi mi ha fatto stare bene o a chi mi ha trasmesso qualcosa durante la giornata. Ma soprattutto cerco di essere grata a chi la vita me l’ha donata. Senza quella. Non avrei potuto nemmeno vedere queste tante bellezze che ci sono in giro. Perché oggi giravo per Roma. Ed è bella Roma. Per davvero. E allora salivo su sul Gianicolo. E poi sul Palatino. E poi andavo su e andavo giù a piedi con la moto in taxi.
La moto andava su e su e su e su e io me ne stavo attaccata dietro con i piedini che facevano pressione come quando un uccello si attacca ai fili della luce. E più mi tenevo più avevo paura di prendere la scossa. Prendi un giorno a Roma. Sole. Sali in moto. Si parte. E a ogni curva che ti sembrava di cadere di roteare di sentirti un tutt’uno con questo mondo. Perché nella vita bisogna anche lasciarsi andare. Bisogna salirle le montagne. Passo dopo passo. Passetto dopo passetto. Facendo una sosta. Una pausa. Rimanendo in attesa col corpo sospeso sul resto del mondo. Respirare aria sana. Buona. Cambiarla quell’aria. Anche solo per vederne l’effetto. Per rientrare con stimoli nuovi. Nuova energia. Bisogna percorrerle le strade. Calpestarle. Navigarle. Circumnavigarle ancora. E ancora. E ancora.
E così mentre la moto saliva vedevo la gente correre a piedi. Fare jogging. Le auto incolonnate come tante lattine luccicate dal sole. Vedevo i cani a passeggio. I bar aperti. I negozi anche. Ma soprattutto vedevo quegli eterni monumenti. Chiese. Campanili. Obelischi. Pilastri. San Giovanni in Laterano. Le Terme di Caracalla. La villa. Quella più bella. Sentivo sotto correre i sanpietrini e l’asfalto che correva sotto le ruote. E la moto che saliva saliva e saliva.
E poi.
Poi quel pane. Un collega mi dice che qui fanno il pane più buono di Roma.
Entro e vedendo il pane a forma di Colosseo gli chiedo: ma lo posso mangiare anche domani?
Io così onnivora di tutto.
Io che la vita me le sono bevuta tutta e me la bevo ogni giorno. Ho fame. Ho sete. Ho sete di notizie. Di storie. Ho fame di tutto quello che mi fa crescere. Amare. Innovare. Prospettare. Gioire. Partire. Costruire. Me la devo bere la vita. Tutta. Devo sentire che mi sbatte addosso e che la sento dentro. Allora chiedo al panettiere se lo posso mangiare. E lui si mette a ridere. Mi dice che no. Non si può. Ingorda. Sì è pane ma è un peccato mangiarlo.
Si è fatta sera. Le case accendono le luci. Le strade accendono le luci dei lampioni. Dio quanto mi piace questa atmosfera. Mi ricorda i vecchi tempi. Mi mette un senso di nostalgia, di casa che non c’è, di mettersi alla prova. Mi mette un senso che tanto non tornerà mai niente più come prima. Di quella vita da piccoli. Mi viene in mente che in quel momento sono felice e vorrei urlare al mondo grazie. Ma chi ti sente. Canticchio Max Pezzali. Il tassista che ti chiede: “lei è milanese”.
Vedo le case. Luci. Rimmel. Il rimmel di una tipa. Sottile. Ben delineato. Parla al telefono. “Ci vuole un cambio. Eleganza. Pulizia. Ordine”. La sto a sentire. C’ha il cappotto maculato. E le unghie affusolate.
Ti mette energia. Voglia di fare.
Poi squilla il telefono. Mi chiama una madre. Mi dice che sta preoccupata per i figli. Già i figli.
“Mamma perché devo studiare. Mamma perché devo fare l’università. È asettica non ha senso”.
Non ha ritmo. Socialità. Non c’è concerto. Suona un lento adagio. Manca la musica. Manca lo schiocco delle dita. Ti sembra di perder tempo. Questo tempo perso. Questo tempo che non torna indietro. Questo tempo che stavano vivendo e un turbine a ciel sereno si è messo di traverso.
Si è fatto tardi.
È ora di rientrare.
Mi viene in mente il pane. E mi viene in mente mia madre. Lei che ripone tutto. Io che consumo invece e faccio spazio al nuovo, buttando via il vecchio. Una volta mi ricordo che le avevo regalato un orsetto. Per Pasqua. L’orso è ancora lì.
Di cioccolato. Saranno vent’anni.
Vent’anni fa.
È un peccato mangiarlo mi dice mia madre.
È un peccato mangiarlo.

#sbetti

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