#Storie2020. L’altro giorno mi hanno chiamato. E mi hanno detto: “sono tre mesi che non ci pagano. I pagamenti arrivano in ritardo. La tredicesima doveva arrivare a Natale, ma siamo a gennaio e deve ancora arrivare. Non sappiamo che fare. Qua è un tutto un caos. Abbiamo paura un giorno di arrivare e di trovare i sigilli. I cancelli chiusi. Dopo anni abbiamo tanta paura”.
Allora ho letto il messaggio. L’ho riletto. E la persona ha continuato: “è ora di far sapere veramente cosa accade da noi”.
Così mi sono accesa una sigaretta e ho pensato. Ma come è possibile. Come è possibile mi sono detta che una realtà così bella, (la foto che posto premetto che non c’entra nulla) che era così bella, che era così cara, che era così cuore, che era così sintonia, amore, che era così tutto quello che cercavi, sia ridotta allo sfascio. Al catafascio. Allo sbando.
Anni e anni in cui è andata bene. In cui era un impero. In cui era professionalità . Gusto. Eleganza. E poi. Poi la desolazione. Poi la paura. Poi la povertà .
Allora ho preso e sono andata a fare un giro in questa realtà . Ho voluto rendermi conto. Ed è vero. Nelle cose ci devi essere se vuoi raccontare. Devi vedere. Annusare. Respirare. Utilizzare tutti i cinque e i sensi per fare un bel lavoro. Usare il sesto per fare un lavoro armi perfetto. La perfezione non esiste.
Allora dicevo è un’azienda di questo immenso Veneto. Del territorio. Un’azienda bella, conosciuta. Un’azienda che si prepara a uno dei piĂą tristi scioperi che ci possano mai essere. Quelli dei lavoratori che incrociano le braccia. Quelli dei lavoratori che restano fuori. Che fermano la produzione. Che attaccano striscioni. Che fermano le auto. Che chiudono tutto. Sì. PerchĂ© così, così non è piĂą possibile continuare. “Ci prendono per il culo – mi dicono – e la gente ha paura”.
“Stiamo ancora aspettando la tredicesima – mi dice una dipendente – siamo tutte un po’ incazzate, ci prendono per il culo e ci raccontano cazzate per i ritardi”. “Negli ultimi due tre mesi – mi racconta un’altra – hanno cominciato a tardare con i nostri stipendi. Purtroppo c’ è un aria pesantissima e molti temono ripercussioni e quindi tacciono, a noi dicono di portare pazienza, che non sono tenuti a darci spiegazioni…e molto altro…”. “Ma le persone hanno paura”. GiĂ . Paura. Paura che i soldi non possano mai arrivare. Paura che le saracinesche chiudano per sempre. Paura che quel sogno su cui avevi risposto il tuo presente e il futuro possa svanire.
Perché per molti, per molto il lavoro diventa una famiglia. Per molti il lavoro diventa una spinta. Una spinta a fare sempre meglio, a migliorarsi, a crescere, a reinventarsi. Per molti il lavoro diventa un ambiente dove condividere le paure, le insicurezze, le gioie, i dolori. Quante amicizie nascono al lavoro. Quanti amori.
Ma poi. Poi la gente inizia a licenziarsi. Poi la gente inizia ad avere malumori. Rancori. E quando si spezza un ramo. Poi. Poi se ne spezza un altro. Poi un altro ancora. Poi ancora ancora e ancora. Rimane il tronco. Da solo. Brutto. Senza foglie. Senza fiori. NĂ© frutti.
E infatti.
Infatti dicevo sono andata per rendermi conto. E ho visto la desolazione totale. Dove prima c’era un sorriso, ora c’è uno sbuffo. Dove prima c’era una stretta di mano ora c’é un vaffanculo. Dove prima c’erano i colori ora ci sono gli striscioni. Dove prima c’erano le storie, ora c’è la fame.
“Cosa vuoi – mi dice una dipendente – eravamo una grande famiglia”.
Così. Così inizio a scavare un po’ sulla cosa. E scopro: sanzione. Tasse da pagare. Stipendi in ritardo. Licenziamenti. Indagini. Conti alla cazzo. Un caos totale che non si capisce. Non si capisce niente.
Allora oggi. Oggi andando a Venezia ho fatto dall’auto frettolosamente questa foto che con questa storia non c’entra niente.
Ero di fretta, ero pure in ritardo, ma il tiranno del tempo non riesce a frenare la mia tiranna curiositĂ , ci prova anche, nel ring la combatte, ma poi, poi vince la curiositĂ , il tempo passa lo stesso.
E allora dicevo ho fatto questa foto, e in lontananza si vede un po’ la punta di Porto Marghera. Uno dei porti commerciali più grandi d’Italia. L’emblema dell’Italia che lavora. L’emblema dell’Italia che si fa in quattro.
Già . E allora mi sono chiesta come siamo arrivati a tanto. Come siamo arrivati a veder distruggere le aziende. A non poter fare niente. A prendere persone che non si sa che interessi hanno. A fare di tutto per ridurci allo sfascio. A giocare sporco. A fare i nostri interessi. Come siamo diventati a essere così cialtroni. Come.
Perche molte volte, molte volte non è sempre colpa di questo sciagurato Governo che toglie una tassa e te ne infila nel culo quattro.
No, molte volte, è colpa di chi non ha amore per il proprio lavoro, di chi vuole fare i soldi sulle schiene degli altri, di chi vuole fare i propri interessi sempre a scapito di qualcun altro.
Molte volte è colpa di chi antepone la propria soddisfazione personale al bene delle persone. Di chi non capisce. Di chi non comprende. Di chi non si abbassa.
Di chi non si abbassa i pantaloni nemmeno per pisciare, ma se li abbassa quando deve dire “sì signore”.
Ecco di chi è colpa.
Vi aggiorno.
#sbetti