Adesso vi racconto una storia.
Allora questa mattina sono andata a “trovare” un cantiere nautico. Anche se questa foto è di qualche settimana fa ma ci stava bene con le barche. E insomma un cantiere nautico. Oh sì. Uno di quelli dove fanno le barche. Allora pioveva. E dopo un po’ ha iniziato pure a nevicare. Insomma arrivo, parcheggio e vedo che il cantiere sta semi all’aperto. Così gentilmente il titolare del cantiere mi fa accomodare dentro agli uffici dove è un po’ più calduccio.
Ma dopo un po’ la mia curiosità è talmente tanta che chiedo di poter vedere il cantiere.
Allora andiamo, mi imbacucco per bene. Mi ero anche messa il giubbotto pesante. Quello bello. Quello con dentro il pelo. Quello che la gente mi dice che è un cappotto di sinistra e come faccio a indossarlo io che mi concentro a destra. Poveri ignoranti.
Insomma dicevo mi metto il giubbotto. Lo allaccio fino a su. Mi metto il cappello. Indosso i guanti, rigorosamente tagliati che mi consentano di scrivere e fumare, metto la sciarpa. Macchina fotografica in spalla e mi addentro tra le barche. Allora tutto intorno ci stava il profumo della vernice appena smaltata, pitturata, dipinta, la vernice fresca che sa di chimica e si confonde col freddo.
Perché tutto intorno faceva veramente freddo. Freddo. Umido. Un freddo cane. Ma che più cane non si può.
Allora passo tra le barche, e il fondatore del cantiere che c’ha quasi ottant’anni, ma c’ha una tempra d’acciaio, più forte di quella delle navi, mi spiega, mi fa vedere, mi illustra.
Mica sbrodolandosi sapete, ma con tanta umiltà. Con tanta passione. Con tanta professionalità. E così passiamo attraverso le barche appena fatte, quelle appena pitturate, quelle messe in piedi, quelle rovesciate, quelle catapultate, quelle dipinte, quelle al grezzo, quelle di cui ancora ci sta il modello, quelle che c’hanno ancora incollato lo stampo – interessante è il procedimento dello stampo di una nave, da prendersi un’ora di tempo per capirlo – e poi le barche ancora con il vetroresina attaccato, con la pellicola, con i sedili per terra, con il cartone appoggiato dove le persone d’estate quando ci salgono si tolgono le scarpe. E poi.
Poi ci sta pure la barca che sta per essere verniciata in quel momento. In quell’esatto istante. Sono la prima assieme al titolare e all’omino che la dipinge, che sta tutto bardato con una tuta bianca, con una maschera, con un tubo per respirare, che sembra l’omino della Michelin di cui non si vede nemmeno il volto, ecco dicevo siamo i primi a vedere nascere quella barca. A vederla dipinta. A prendere colore. A prendere sapore. Il sapore della vernice fresca. Siamo i primi a vedere comparire sotto i nostri occhi quella barca che Dio sa solo nelle mani di chi andrà a finire. Di qualche principe. Di qualche presidente. Di qualche politico. Di qualche sceicco. Finirà nelle mani di qualcuno che appena poggerà il culo si sarà seduto su un pezzo che è unico al mondo. Perché non esistono pezzi uguali. Non esistono. Non esistono venticinque pezzi uguali che si fondono in un tutt’uno e diventano un motore perfetto. In grado di navigare mari, forse oceani, fiumi. Laghi.
E non esistono pezzi uguali perché in questo cantiere ogni pezzo nasce da un’idea. Da un pensiero. Da un sogno. Da una notte insonne. “Non sai quante volte mi sogno il disegno di notte”, mi racconta il proprietario “ e poi o vengo su e schizzo cioè mi metto a disegnare con la matita o la mattina quando vengo in cantiere metto a frutto quello che ho pensato, quello che ho sognato. È passione. Passione. E nasce tutto da un’idea”.
Già un’idea. Un pensiero. Un lume. Un input. Un input che schizza via sul foglio, che lo riempie, che lo disegna. E da cui poi nasce un colosso. Uno schizzo nella testa che prende forma sulla carta, e da lì si crea un progetto, e poi un modello e poi la barca. La barca stessa. Allora poi, dopo aver visitato, dopo aver respirato l’odore della vernice appena colorata, appena messa, quella fresca, dopo essermi riempita di freddo, dopo aver cercato di capire un universo per cui non basterebbe un anno, siamo rientrati dentro all’ufficio e lui che litiga perfino con gli ingegneri perché ne sa più di loro, mi ha detto “quando posso scappo, le idee lontano da qui vengono meglio, maturano meglio”.
Già.
E allora perché vi dico questo. Perché stasera ascoltavo il vice ministro del nostro brillante Sviluppo economico, Stefano Buffagni, che si dilettava a dare lezioni agli italiani dicendo che se ci sono problemi bisogna lavorare per risolverli. E poi diceva che loro come parlamentari devono lavorare.
Già. E allora volevo dire a Buffagni no, gli volevo dire.
Perché anziché parlare e poggiare il culo al caldo, prendendo le indennità, facendovi accompagnare anche per andare al cesso o per parcheggiare l’auto sotto la pioggia perché mio Dio no, vi bagnate i capelli; ecco gli volevo dire perché non andate a vedere veramente la gente che lavora. Perché non provate a entrare in qualche cantiere, dove la gente si fa il mazzo, sta al freddo, non ha nemmeno il tempo per pisciare, e respira l’odore della vernice; ecco dicevo perché non provate ad andarli a trovare, a stare con loro, a farvi raccontare, a sentire quel freddo umido che ti gela i polpastrelli, che si impadronisce dei piedi, che ti congela i muscoli, che ti sale fino a su i cervicali.
Eh? Perché? Perché non provate? Perché non provate ad andare veramente a vedere dove l’Italia lavora, dove l’Italia produce, dove la gente si fa in quattro per inseguire una passione e per dare da mangiare a moglie figli nipoti dipendenti. Perché non provate anche voi a stare in piedi fino a tardi per far quadrare i conti? Perché con tutti quei soldi che prendete, con tutti quei soldi che prendete, non siete nemmeno in grado di dar da mangiare a un terzo del Paese. Nemmeno a voi stessi. Volete sempre di più. Ingordi che non siete altro.
Perché io vi ci farei entrare nei cantieri. Oh sì. Vi ci farei entrare. Vi ci farei poggiare il culo al freddo. E le gambe al gelo. Sì.
Perché andatela a vedere l’Italia che lavora. Andate! Respirate l’odore della vernice fresca. Riempitevi di freddo. Gelatevi le chiappe e poi le vostre belle parole, partorite al caldo, ficcatevele bene nel culo.
Ma ficcatevele per bene.
Con ossequi.
#nottesbetti
#sbetti