Siamo parti dello stesso sterco

Quello che vedete qui è il campo di concentramento di Jasenovac. Il più grande campo di concentramento dei Balcani. Il terzo dopo Auschwitz e Buchenwald. Siamo a un centinaio di chilometri a sud est di Zagabria, vicino al confine croato – bosniaco.

E questo è il frutto dell’ignoranza dell’uomo. Del suo essere ignorante. Rozzo. Becero. Animale. Imbruttito. Incivile. Zotico. Questo è il frutto dell’essere bestia. Di quella convinzione di sentirsi superiore. Di poter prevaricare. Di poter distruggere. Uccidere. Ammazzare.

Qui, in questa immensa valle che si apre davanti ai miei occhi e dove non riesco a immaginare che davanti a tutto questo verde siano morte sgozzate e torturate le persone, ecco qui dove sento le grida di bambini impauriti, le urla di madri terrorizzate e gli spasmi di padri ammazzati, ecco qui morirono almeno 100 mila persone. Secondo le stime. Erano serbi. Rom. Ebrei.

Un campo di concentramento attivo durante la seconda guerra mondiale, tenuto in piedi pure dai frati francescani. Frate Satana lo chiamavano quel religioso Miroslav Filipovic – Majstorovic che lo dirigeva. Frate Satana diceva messa. Uccideva e poi pregava.

Ed è qui che avvenne la maggior parte dei massacri operata dagli Ustasha contro le etnie non croate e non cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia. Così. Come se domani a voi vi prendono, vi entrano in casa, vi caricano su un treno merci e vi ammazzano perché siete veneti e non siciliani. Quanto rozzo è l’uomo. Quanto animale è l’essere umano. Ammazzare uno perché anziché essere nato in una regione, nasce in un’altra. Quanto è limitato. Quanta paura in queste considerazioni.

E allora qui dove vedete le montagnole c’erano le baracche. Poi distrutte. E dove vedete le travi di legno, ecco quello era il percorso che il treno faceva carico di deportati. Qui la gente ci arrivava e sistematicamente veniva ammazzata. Le persone furono uccise con una brutalità inimmaginabile. Alcuni morirono di fame e di sete. Altri di stenti. Altri congelati con i liquidi in pancia. O nell’intestino. Ma alcuni. Alcuni vivi venivano scuoiati. Sgozzati. Presi e cannibalizzati. Decapitati. Bruciati. Affogati. Alcuni assistevano alle esecuzioni. Così. Mentre due tenevano il prigioniero per le braccia e un altro lo decapitava con un’ascia. Lo Srbosjek, il tagliaserbo, era un coltello speciale, costantemente fisso al polso, con una lama all’ingiù che serviva a sgozzare le persone in un colpo solo. Un frate, Peta Brzica in una sola notte ne scanno 1360.

C’erano settimane in cui il fiume qui accanto, che vi farò vedere in foto, il fiume Sava, era perennemente tinto di rosso. Il rosso del sangue. Molti bambini venivano bruciati vivi nei forni di mattoni trasformati in crematori. Almeno 8 mila i bambini morti.

Allora dinanzi a questo orrore, non c’è santo che tenta. Non ci sono madonne. Non c’è religione. Giustificazioni. Cause. Da qualsiasi parte. Destra. Sinistra. Sud. Giù. Centro. Qui è la merda umana. Qui c’è lo sterco dell’uomo che diventa un tutt’uno con il proprio corpo. Con la propria anima. Del resto. Come disse uno scrittore di cui ora non ricordo il nome, e nemmeno esattamente le parole, ma so che facevano più o meno così: sono parti dello stesso sterco, divisi a metà dal coltello della propria ignoranza.

#sbetti

2 risposte a "Siamo parti dello stesso sterco"

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